17 settembre 2007

Una perla tra i monti

Biasca, un nome sino a sabato per me sconosciuto, mi è apparsa verso le 14 all’uscita 44 dell’autostrada A2 che dal valico di Chiasso sale verso il cuore della Svizzera. Le montagne la incorniciano e la proteggono, ricoperte di boschi lussureggianti. Il nome antico, Abiasca, ha un significato legato all’acqua e, infatti, un ruscello l’attraversa e una bella cascata sgorga dalla nuda roccia di una montagna, come un fiotto di linfa cristallina.
Quando l’uomo di pianura si reca tra i monti, di solito è colpito dal silenzio e dalla quiete che il paesaggio gli trasmette: le piccole case dominate dalle vette che si rincorrono in altezza a perdita d’occhio, danno la dimensione di quanto l’uomo sia minuscolo al confronto del creato.

Ma Biasca mi ha accolto con molto più che un paesaggio da cartolina. Giovanni Conti e tutti gli organizzatori del Cantar di Pietre (http://www.cantardipietre.ch) sono stati cordiali e ospitali. La presentazione è stata organizzata con grande professionalità, nel bel contesto di Casa Pellanda (www.casapellanda.ch). E’ stato bello conversare con chi, come Lorenzo Sganzini, la via Francigena l’ha percorsa a piedi per una serie di trasmissioni co-prodotte da Rete Due Radio Svizzera e Radio Rai. Giovanni Conti, giornalista e professore universitario di storia della musica poi, è uomo di grande sensibilità culturale. Il pubblico, numeroso, è stato cordiale e partecipe.
A coronamento della giornata, poi, sono stato ospite del concerto di musica medievale messo in scena dall'ensemble La reverdie (
http://www.lareverdie.com/). Si trattava della stupenda Missa Sancti Jacobi di Guillaume Dufay databile tra il 1426-28. Il contesto in cui l’ensemble si è esibito era eccezionale. La chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Biasca è un bellissimo esempio di romanico ticinese. Le sue mura di pietra sembrano emergere direttamente dalla montagna cui è poggiata, come se una mano non certo umana l’avesse plasmata modificando direttamente la grigia roccia. Questa impressione è rafforzata all’interno dalla forte pendenza del pavimento e in particolare dell’altare, intorno al quale emerge la nuda roccia, come se la montagna si rifiutasse di venir completamente domata dall’uomo.
Questa sorta di enorme caverna, è abbellita da numerosi affreschi, da quelli dotati di semplice plasticità del secolo XI ai più sofisticati dei secoli XV-XVI. In particolare mi ha stupito “Il Figlio nella gloria”, affresco del Cinquecento che riempie di luce l’abside, prodotto della bottega di Antonio da Tradate. La mano del Cristo, col pollice piegato su indice e medio diritti, è atteggiata nel solenne gesto con cui gli antichi oratori salutavano l'uditorio prima di parlare. Il Figlio di Dio ha un’espressione allegra, quasi atteggiata in un sincero sorriso montanaro.
L’acustica di questa Chiesa è impressionante e sentirvi rimbombare il suono di strumenti arcaici - come il liuto, la viella, il cornetto muto, l’organo portativo – che accompagnavano i solenni versi delle preghiere in latino, è stata un’emozione unica. L’esibizione è stata chiusa da un vero e proprio cammeo: il Nuper rosarum flores composto sempre da Guillaume Dufay per la consacrazione del duomo di Firenze, Santa Maria del Fiore il 25 marzo 1436, alla presenza di papa Eugenio IV. Al termine della solenne esaltazione della Vergine e del popolo fiorentino mi è sembrato che il sorriso del Cristo sull’abside si allargasse gioioso.



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1 commento:

Anonimo ha detto...

La magia del pellegrinare consiste proprio in questo: scoprire nuovi orizzonti, insolite architetture e lasciarsi annientare da suoni e profumi. L'incanto di ogni avventura è ciò che annulla la fatica del cammino. Buon viaggio viaggiatore e complimenti per il tuo commento che fa sognare ... La Regina degli Elfi